Del mondo che vedo, ben oltre la metà è finita in polvere. Finanche del Colosseo, un’opera che ancora mi impressiona per la sua imponenza, ne posso osservare solo una parte. Il resto, ridotto ai minimi termini, in granelli sottilissimi, è disperso ai quattro angoli del pianeta, nei nuovi cantieri edili, nelle strade non spazzate e sui miei fogli, dimenticati sul tavolo da disegno per settimane.

Ma la polvere non è solo una coltre sulle cose, una copertura. E' sostanza della Storia. La polvere è l'elemento che definisce spesso una grandezza temporale e il suo contenuto in termini storici, o meglio, in termini di Storia e di storie. Saper districare le trame di questo romanzo è ciò che ho fatto negli ultimi anni. E’ ciò che faccio il più delle volte.

Nell’iniziare il mio ciclo di opere napoletane, che ha preso il nome di Sette Stagioni dello Spirito, mi sono ritrovato in una chiesa chiusa dalla Seconda Guerra Mondiale, nel centro antico della città. Per dar corpo all’installazione che avevo in mente, ho dovuto togliere tutta la polvere che, negli anni, si era accumulata in quella chiesa. Polvere di guerra, di dopoguerra, di ricostruzione, di terremoto. E' la polvere da cui è nata l'Italia Repubblicana. Ma soprattutto è la polvere prodotta dalla più grande catastrofe che la Storia moderna abbia registrato. Una guerra di cui, come spesso ha ricordato Eduardo De Filippo (in Napoli milionaria!, certamente, ma ancora più duramente in un passaggio de La paura numero uno), nessuno vuole veramente parlare. Sì, certo, sarebbe paradossale dire che non se ne sia parlato della Seconda Guerra Mondiale. Siamo cresciuti coi documentari, con le celebrazioni, con le “giornate della memoria”. Ma in pochi, forse appunto solo i poeti, l’ultima linea di difesa dell’umanità, hanno davvero portato sulle loro spalle il peso di quell'evento come una cosa viva, senza relegarlo all'esorcismo dei libri di Storia come qualcosa di archiviato, di ormai distante da noi, di finito.

«Non è finita... e non è finito niente» dice don Gennaro Jovine, protagonista di Napoli Milionaria!, e ha ragione. Tutto quello che vedo attorno a me sembra appartenere ancora a quella guerra o a ciò che ne stava alla base. E’, infatti, un errore di prospettiva quello in cui rischiamo spesso di cadere. La Seconda Guerra Mondiale non è stata solo una catastrofe, il punto di collasso e di fine di una Storia, è stata anche l’atto fondante di un’altra Storia. Lo sapeva bene Jerzy Grotowski, che nel 1962, in una Polonia ancora coperta di cenere, monta uno dei suoi spettacoli più importanti, che ha per titolo una parola che è la vera chiave di lettura del ‘900: AKROPOLIS. Nello spettacolo, le scene della Bibbia dipinte nella cattedrale di Cracovia vengono sostituite con scene di vita degli internati di Auschwitz. E’ questa la nostra acropoli (come dicono gli stessi personaggi). Auschwitz, necropoli della modernità, di una società fondata sugli archetipi del Cristianesimo, ma acropoli di un mondo nuovo, il mondo che noi abbiamo contribuito a costruire e che vede come miti fondatori uomini che abbiamo ancora paura a nominare, uomini che stanno al mondo presente come Crono e i titani stavano a quello antico. La guerra, dunque, non è stata la fine di una stagione, ma l’inizio di una Storia, una storia che è ancora in corso e che ha una lunga strada davanti a sé.

Ecco allora che combattere una guerra non finita è ancora un atto da partigiani. Ma come si combatte questa guerra? Giorgio Agamben, in una serie di riflessioni recenti sullo stato attuale della società, ha richiamato più di una volta il tema dell'archeologia come unica possibilità di riscrittura di un futuro irraggiungibile. Ma quale archeologia è possibile in un tempo in cui il potere non si mostra come nell’antichità, con le piramidi, le cattedrali, le grandi costruzioni come il Colosseo, ed è, piuttosto, un potere che tende all’invisibilità, a nascondersi, a confondersi, consumando rapidamente i propri templi per cambiargli forma, luogo, facendoli diventare maceria, polvere anzitempo, perché se ne perdano le tracce, come ho capito a Birkenau, dove in cenere sono finiti anche i crematori, che sono forse le vere piramidi del secolo scorso? E’ un’archeologia della polvere l’unica che ci è data, un atto di pazienza e di lucidità che siamo chiamati a compiere, riannodando, granello per granello, le trame di una Storia che ci renda di nuovo presenti nel presente. A Napoli, nella chiesa dei SS. Cosma e Damiano, ho avuto la possibilità di imbattermi in un luogo che ha conservato la polvere di quello che è stato, per me, l’atto fondante di questa era. Non tutta, una porzione, una parte, la parte che le mie spalle possono permettersi di portare.

Questa è mia parte nella Seconda Guerra Mondiale.


Gian Maria Tosatti